ACCORDO PER SBLOCCARE L’EXPORT DI GRANO UCRAINO

Due i fronti lungo i quali si sviluppa il conflitto in Ucraina. Uno più strettamente militare, e un altro dove la Russia ha imposto il suo diktat con il blocco all’esportazione di cereali e girasole ucraino.

APPROFONDIMENTO
Domenico Aloia
ACCORDO PER SBLOCCARE L’EXPORT DI GRANO UCRAINO

Due i fronti lungo i quali si sviluppa il conflitto in Ucraina. Uno più strettamente militare, e un altro dove la Russia ha imposto il suo diktat con il blocco all’esportazione di cereali e girasole ucraino.

La guerra in Ucraina, ormai nelle cronache giornaliere dal 24 febbraio 2022, sta riversando i propri effetti nefasti sui contingenti militari con ingenti perdite di uomini, mezzi e strutture, che sulle popolazioni e le strutture civili (abitazioni, scuole, ospedali, ponti, strade, ecc.). Inoltre, impatta fortemente sulla cosiddetta “geopolitica alimentare”. Questo perché dalle esportazioni di cereali (grano e mais in particolare) coltivato in Ucraina dipende l’alimentazione di molte popolazioni a livello mondiale, non solo in Europa, e un suo blocco può avere ricadute importanti, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, portando a carestie, malnutrizione e perfino, sul lungo periodo a fenomeni migratori.

Ruolo dell’Ucraina nella produzione e nell’ importazione di cerali

L’ Ucraina a differenza di quanto la narrazione di questi mesi possa farci credere, non è il primo produttore mondiale di cereali ma si piazza all’ 8° posto (dati FAO 2020) dietro a Cina, India, Russia, Stati Uniti, Canada, Francia e Pakistan. Guadagna due posizioni (6° posto) per quel che riguarda le esportazioni, sono infatti diversi i paesi che in maggiore o in minore misura dipendono da grano e mais esportati dall’ Ucraina. Per quanto riguarda il grano 92% della confinante Moldavia, 81% del Libano, 80% Qatar, 49,3% Tunisia, 48,3% Libia, 47,3% Pakistan, 28,7% Indonesia, Yemen 27%, Egitto 25,6%, Bangladesh 25,2%,. Inoltre, altri grandi importatori del grano ucraino sono Somalia 60%, Laos 25%, Congo 15%. Per il mais, Madagascar 89% Bielorussia 68,7%, Lituania 67,7%, Libia 64,3%, Cina 55,8%, Olanda 50,9%, Tunisia 50,5 %, Portogallo 38,6%, Sri Lanka 34,4%, Israele 30,9%, Kenya oltre il 30%

Per quanto riguarda l’Italia, le voci incontrollate ed allarmistiche di una presunta elevata dipendenza dalle esportazioni ucraine circolate in questi mesi, sono smorzate dai numeri che fotografano una situazione non particolarmente preoccupante. Seppur l’Italia importi circa il 60 del grano e il 46% del mais (principalmente per l’alimentazione animale) dall’ estero, l’Ucraina non è il primo esportatore nel nostro paese. Infatti, con il 5% (120000 tonnellate) per il grano e il 15% (785000 tonnellate) per il mais si piazza dietro a Francia, Canada, Ungheria, Stati Uniti e Austria.

La situazione alimentare mondiale legata anche alle esportazioni ucraine e alle bizzarrie della Russia

I numeri citati indicano come alcuni paesi più di altri dipendano per il loro regime alimentare dalle esportazioni ucraine, e quanto queste dall’ inizio del conflitto siano vincolate dagli umori della Russia che le utilizza come contropartita per ottenere la riduzione della sanzioni imposte dall’ Europa a suo carico. I continui tira e molla tra le due nazioni in conflitto con le conseguenti smentite sul blocco dei cereali nei porti ucraini hanno portato ad una situazione nebulosa a livello mondiale mettendo in crisi i complessi e fragili meccanismi che regolano gli accordi tra nazioni importatrici ed esportatrici.

Nel corso dei mesi l’incertezza della situazione all’origine del blocco delle forniture cerealicole nei porti ucraini, aveva portato ad optare, per un difficile trasporto delle derrate via treno. Naturalmente, come da previsioni, la scelta intrapresa ha dovuto fare i conti con alcuni problemi, tra i quali la differente organizzazione della logistica ferroviaria rispetto al trasporto marittimo, e il fatto (scontato) che il trasporto merci su rotaia siano in grado di trasportare un quantitativo di prodotti molti minore rispetto ad un cargo navale. Seppur alcuni convogli carichi abbiano raggiunto paesi confinanti quali Lituania e Polonia, la strada intrapresa si è rivelata difficile da percorrere e quindi è stata ben presto abbandonata.

Come si è usciti dallo stallo e cosa prevede l’accordo

Per questo motivo si è deciso di aspettare che gli eventi facessero il loro corso dopo quasi 5 mesi di stallo si è riuscito a fatica a raggiungere un accordo nel quale la Turchia ha giocato il fondamentale ruolo di mediatore. L’ accordo per lo sblocco delle esportazioni di oltre 22 milioni tra cereali, semi di girasole, fertilizzanti, ecc. è stato firmato ad Istanbul lo scorso 23 luglio, ha la durata di 4 mesi rinnovabili nel caso in cui le ostilità non siano ancora cessate. Nel testo dell’accordo è previsto per così dire “parità di trattamenti”, la Russia chiede infatti che anche il suo export venga sbloccato, che le navi cariche di derrate ucraine siano controllate tanto in uscita dai porti ucraini, una volta giunti al largo dei porti turchi, quanto rientro in patria, da un centro di controllo coordinato da funzionari ONU turchi, russi ed ucraini, per scongiurare il trasporto di merce non consentita, in particolare armi.

Risultato degli accordi di Istanbul è stata la partenza del primo carico dal territorio ucraino dallo scoppio della guerra. Il primo agosto, dal porto di Odessa ha preso il largo il cargo Razoni battente bandiera della Sierra Leone con un carico di 26500 tonnellate di insilato di mais (impiegato per l’alimentazione animale). Il cargo dopo aver raggiunto il canale del Bosforo al largo del porto di Istanbul e, come da accordi, essere stato ispezionato, nei prossimi giorni dovrebbe arrivare nella città di Tripoli in Libano. Attualmente oltre al cargo che ha lasciato il porto di Odessa (principale scalo commerciale del paese) dagli altri due principali scali marittimi del paese di Chornomorsk e Pivdenny, dovrebbero partire un totale di 17 navi che potranno caricare cereali e fertilizzanti. Nel porto di Chornomorsk in particolare sono ferme 12 navi cariche di oltre 400 mila tonnellate di grano. Le navi possono trasportare da 10000 a 60000 tonnellate necessitano di essere scortate da una nave che le protegga da eventuali mine lungo il percorso.

Dato che dai porti ucraini dovrebbero partire non più di 3 navi al giorno (dato quest’ ultimo che va maneggiato con cura, senza troppo voli pindarici, anche se si parla di numeri un po’ più alti diversi ma tutti da verificare) tornare ai ritmi pre 24 febbraio (5 milioni di tonnellate al mese oltre 60 milioni all’ anno) non sarà affatto immediato. L’auspicio è comunque quello che la situazione mantenga una certa stabilità e non subisca modificazioni dovute alla situazione bellica, e non sia preda delle prese di posizione delle parti in conflitto come troppo spesso in questi mesi è successo.

Lo sblocco delle esportazioni sembrerebbe si rifletta positivamente anche sulla riduzione dei prezzi di grano e derivati, ad esempio il pane, oltre ad altri prodotti alimentari dipendenti indirettamente dal blocco (basti pensare al latte o al burro) troppo spesso soggetti a fenomeni speculativi. Anche se a piccoli passi sembra che la situazione delle esportazioni si faccia giorno dopo giorno più chiara, ora bisognerà vedere se l’accordo andrà in direzione di Mosca, cioè se si procederà con lo sblocco delle esportazioni russe come richiesto. La speranza è quella di estendere l’accordo che ha permesso lo sblocco delle esportazioni ad un generale, condiviso e duraturo cessate il fuoco, magari con l’intervento di un mediatore. Nonostante i buoni auspici, nei momenti immediatamente successivi all’ accordo, le ostilità sono proseguite senza sosta a dimostrazione di quanto l’evoluzione di un conflitto del genere sia imprevedibile.

A complicare ancora più la situazione il fatto che la guerra influenzerà negativamente anche sulle mancate semine e sui raccolti futuri a causa di campi minati, distruzione di mezzi meccanici a disposizione delle aziende, sulla reperibilità di mezzi tecnici, ecc. Inoltre, il fatto che il ritmo delle esportazioni entrerà a regime con difficoltà e nel lungo periodo, si andrà incontro con una decisa probabilità a difficoltà nello stoccaggio dei futuri raccolti per il semplice fatto che non tutti i silos e i depositi potranno essere utilizzati perché pieni del vecchio raccolto, e addirittura nella peggiore delle ipotesi danneggiati durante gli eventi bellici.