ARIA DI CITTÀ E POLVERI SOTTILI

L’aria del 2021 nei capoluoghi di provincia italiani. Inquinamento urbano, biossido di azoto, Pm10 e Pm2.5 godono una tolleranza eccessiva.

AMBIENTE
Alessio Mariani
ARIA DI CITTÀ E POLVERI SOTTILI

L’aria del 2021 nei capoluoghi di provincia italiani. Inquinamento urbano, biossido di azoto, Pm10 e Pm2.5 godono una tolleranza eccessiva.

I giorni del Grande Smog si addensarono a Londra, tra il cinque e il nove dicembre del 1952. Condizioni meteorologiche particolari calmarono ogni vento, evocarono una nebbia scura. Era freddo. Il carbone continuò a bruciare. L’aria inquinata uccise quattromila persone.

E neppure il primo bilancio tragico sarebbe rimasto definitivo. Patologie cardiache o respiratorie moltiplicarono i tassi di mortalità, ancora per diversi giorni. Come osservato delle ricerche più recenti. Per quanto, già la percezione immediata convinse il parlamento inglese ad approvare il Clean air act. Una delle prime leggi che scelsero di tutelare: l’aria di città. Il provvedimento fu lodevole e necessario, quanto il Grande Smog più famoso che isolato. A partire dalla Rivoluzione Industriale, la qualità dell’aria urbana è diventata un problema. E lo è rimasta.

Ancora oggi, nonostante molte città abbiano chiuso le proprie fabbriche, superato il carbone e adottato tecnologie meno inquinanti, l’Eea (Agenzia Europea per l’Ambiente) attribuisce al particolato – ovvero alle sostanze inquinanti in sospensione – 400.000 morti premature ogni anno, 50.000 delle quali in Italia. Così, è interessante leggere il report Ma l’aria di città, pubblicato da Legambiente, attraversando tutto lo scorso 2021, 102 capoluoghi di provincia italiani e 238 centraline di monitoraggio.

Il report ha osservato i dati rilevati, a prescindere dalla validazione legale successiva, prestando attenzione alle sostanze più rappresentative e pericolose per la salute umana, il biossido di azoto (NO2) e due polveri sottili, Pm10 e Pm2.5.

Pm10

Cinquantasei centraline sparse in trentuno città si sono mantenute, per almeno trentacinque giorni, oltre i 50µg/mc (microgrammi per metro cubo) di Pm10, superando in questo modo quanto previsto dalla legge.

Sempre nel 2021, le centraline di Milano/Senato (37µg/mc), Torino/Grassi (36µg/mc) e Alessandria/D’Annunzio, al pari di Catania/viale Vittorio Veneto (35µg/mc) hanno registrato il valore medio annuale più alto, rispettando comunque il limite legale di 50µg/mc.

Pm2.5

La centralina di Napoli/Ospedale Santobono ha funzionato soltanto per 198 giorni, rilevando una media di 28µg/mc di Pm2.5, a fronte di un limite legale di 25. È probabili che la normativa non possa validare questo dato a causa del guasto, senza dubbio la zona è troppo inquinata. Segue la media annua di Cremona/via Fatebenefratelli (25µg/mc), arrestatasi sul limitare.

Biossido di azoto

Il biossido di azoto ha superato il limite legale di 40µg/mc piuttosto spesso, in quattordici centraline. Con i maggiori pericoli a Napoli, Torino, Firenze, Milano, Palermo, Catania, Roma e Genova. In generale, l’aria è molto più pulita rispetto a dieci anni fa, in Italia e in Europa. Tuttavia, una soglia in grado di escludere effetti negativi per la salute umana non esiste. I limiti legali del 2021 rappresentano il quadro in cui la Eea ha stimato 400.000 morti premature.

Opportunamente, l’Oms (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha ridotto significativamente i limiti consigliati. Ma anche la Direttiva europea sulla qualità dell’aria è prossima a una revisione. Le direttive europee sono fonti del diritto vincolanti per gli stati membri. Così, i nuovi limiti legali dovranno convergere verso quelli suggeriti dall’Oms.

La strada da fare è lunga. I valori rilevati nel 2021 distano molto dai consigli dell’Oms. Pm10, Pm2.5, biossido di azoto dovrebbero limitare la propria concentrazione media annua, rispettivamente a 15µg/mc, 5µg/mc e 10µg/mc. In questo modo, rispettivamente agli stessi inquinanti, soltanto nove centraline, nessuna centralina e 14 centraline sarebbero rimaste in regola nel 2021.

In questa prospettiva, l’aria italiana non è molto buona. Soprattutto a Nord. Anche perché le cause dell’inquinamento rimandano in primo luogo ai trasporti e agli impianti di riscaldamento. Se pure in alcune regioni, la prossimità tra città, aree agricole e allevamenti intensivi, concorra negativamente.

Senza dubbio e con buona ragione, mobilità privata e riscaldamento rappresentano aspetti irrinunciabili della nostra idea di benessere. Nonostante la gravità e l’incidenza delle patologie legate all’inquinamento urbano, raramente le misure adatte a contrastarlo si sono rivelate molto popolari.

La nostra società pare più incline ad accettare i limiti necessari a contrastare la pandemia o la dipendenza dagli idrocarburi russi che l’inquinamento dell’aria che respiriamo.

Scegliere di viaggiare meno in macchina o abbassare il riscaldamento in risposta a problemi “lenti”, complessi e strutturali come polveri sottili e biossido di azoto è difficoltoso. Del resto, nella percezione comune, l’associazione tra il particolato e le 50.000 morti premature in Italia, stimate dall’Eea, non è rapida.

Le proposte di Legambiente aggirano opportunamente la competizione diretta tra aria sana ed automobile.

  • Ridisegnare lo spazio pubblico urbano a misura d’uomo: revisione urbanistica che avvicini i servizi essenziali (farmacie, negozi, mezzi pubblici) entro quindici minuti a piedi da casa. Strade progettate in modo da rallentare le automobili (30km), favorendo biciclette e mobilità elettrica.
  • Aumentare la dotazione del trasporto pubblico elettrico: acquistare 15.000 autobus che non inquinino. Valorizzazione e ampliamento delle linee di treni, bus e filobus.
  • Sharing mobility: promuovere la mobilità elettrica condivisa, senza escludere periferie e piccoli centri. Costruire 5000 chilometri di piste e corsie ciclabili. Una corsia per le biciclette, nell’80% delle strade.
  • Stop alla commercializzazione dei veicoli a combustione interna al 2030: con l’azzeramento immediato degli incentivi d’acquisto.
  • Sul fronte del riscaldamento domestico, serve un grande piano di qualificazione energetica dell’edilizia pubblica: ristrutturazione ecologica degli edifici, al modo di quella promossa dal Bonus 110%. Normativa che favorisca l’adozione di impianti non inquinanti, ad esempio le pompe di calore elettriche, sostituendo fin da subito carbone e gasolio, infine il gas.
  • Rendere sostenibile l’ultimo miglio della distribuzione delle merci: disporre limitazioni all’uso dei veicoli a combustione nei centri storici, verso una mobilità completamente elettrica.
  • Nel settore agricolo è necessario garantire l’effettivo monitoraggio delle pratiche agricole: controllare la gestione dei liquami, in modo da ridurre l’emissione di ammoniaca. Superare l’allevamento intensivo, riducendo la densità degli animali.

Ridurre l’inquinamento urbano è una questione innanzi tutto di salute. Tuttavia, occorre affrontarla, ricordando come dal punto di vista del cambiamento climatico, il passaggio dalla combustione all’elettrico non avviene, di per sé, verso il meglio.

Bruciare i combustibili fossili ricchi di carbonio in una centrale elettrica di lontana periferia, anziché nei motori a scoppio o negli impianti di riscaldamento del centro storico, rappresenta una delocalizzazione poco saggia. Da dove viene l’energia della colonnina? Campiamo d’aria ma non per aria.