Da anni la comunità scientifica e internazionale ci avverte sulla necessità di contenere l’aumento, ormai inevitabile, della temperatura a livello mondiale entro l’1,5 gradi Celsius. Ma per alcune zone l’aumento di un grado potrebbe avere degli effetti micidiali, in quanto non tutte le regioni del mondo – e gli esseri che vi abitano – subiranno gli stessi impatti e conseguenze. Come ricorda Paola Mercogliano, ricercatrice della fondazione Centro euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici, la media di un grado di aumento della temperatura “ce lo siamo ormai giocati”. Ed è proprio quel grado in più che già oggi sta devastando ecosistemi e biodiversità. A questo cambiamento, afferma Mercogliano, dobbiamo adattarci.
In Italia, dall’aumento di un grado e mezzo potrebbero derivare conseguenze impattanti. “Il Mediterraneo è una zona particolarmente sensibile, le nostre Alpi sono già in sofferenza”. La ricercatrice, responsabile della Divisione modelli regionali e impatti geo-idrologici dalla CMCC, sottolinea l’esistenza nella Penisola di una serie di microclimi, ragione per la quale “un grado di temperatura in più fa la differenza e distrugge molti ecosistemi. Non ce lo possiamo permettere”, ha aggiunto.
La tendenza delle temperature medie annuali dal 1989 al 2020 ci fa intravedere un futuro non roseo: “Dal 2014 registriamo delle anomalie positive, gli anni sono sempre più caldi. Questo si osserva in particolare nelle città di Napoli, Bologna, Milano e Roma”, spiega. Sulle precipitazioni invece il quadro non è omogeneo, a causa proprio dei microclimi: quello del Sud è molto diverso dal clima alpino, ad esempio. Mercogliano fa notare che “questa complessità, dovuta a differenze così marcate, può essere osservata solo con strumenti locali, che sono quelli con cui lavoriamo”. Sono questi strumenti a segnalare come in alcune zone del Paese vengano misurate – nel periodo da novembre a marzo – un aumento dei massimi di precipitazione.
Tra gli scenari studiati, c’è anche quello più “catastrofico”: la previsione di un aumento di 5,5° C dopo il 2050. Per questo, sottolinea la ricercatrice, è fondamentale lavorare sulla prevenzione e sulla riduzione dei rischi climatici, mediante l’attuazione di misure di adattamento. Una trasformazione che comporta costi ma soprattutto benefici, difende Mercogliano, che richiama l’attenzione sulla necessità di pensare a politiche di adattamento su tutto il territorio nazionale, ma che al contempo siano disegnate su scala locale, in quanto gli impatti saranno diversi a seconda del territorio. “Chi si troverà a vivere in un territorio senz’acqua, dovrà prendere certe decisioni. Chi invece vivrà in un territorio dove d’inverno piove di più e d’estate piove di meno, dovrà prenderne altre. Il nostro compito è farci trovare pronti con le soluzioni. È importante che le persone, le società si uniscano e decidano, per esempio, se c’è poca acqua dove utilizzarla”. Queste, per la ricercatrice, non sono scelte rinviabili. A maggior ragione perché i fondi per l’adattamento ci sono, e non vanno sprecati. “Sbagliare ora vuol dire mettere ancora più a rischio un territorio già fragile come quello italiano”, ha concluso.
Risorse idriche: un punto dolente anche in Italia
La crisi climatica porta con sé non solo variazioni anomale nelle precipitazioni, ma si combina con altri fattori legati spesso ai sistemi di produzione di una determinata regione, quali i maggiori livelli di contaminazione delle acque. Questi fattori messi insieme mettono a prova gli ecosistemi, la biodiversità e la vita umana.
Quali sono le conseguenze di questi cambiamenti sulle risorse idriche in Italia? Il rapporto della CMCC “Analisi del Rischio – I cambiamenti climatici in Italia”, porta alcuni dati preoccupanti. Lavorando su uno scenario di aumento della temperatura fino a 2°C nel periodo 2021-2050, si prevede che le precipitazioni estive saranno ridotte nel Centro e nel Sud, mentre al Nord ci sarà un incremento nel numero ma anche nella intensità delle precipitazioni. La conseguenza per le aree urbane – tranne per le zone alpine e alcune parti di Toscana e Veneto – è che la riduzione delle precipitazioni comporterà una condizione di siccità più frequente.
Come si legge nel rapporto, “l’Italia meridionale subirà in modo particolare una riduzione delle prestazioni dei bacini idrici. Si è visto come la maggior causa dell’insufficienza dei sistemi in Sud Italia sia legata alla riduzione delle precipitazioni disponibili piuttosto che alla capacità del serbatoio, problema principale invece per i sistemi analizzati in Centro Italia”. Con questo scenario, le città che non adottano misure di protezione per la fornitura d’acqua potrebbero risentirne negativamente in futuro.