Un villino bianco Art Nouveau nella via liberty del quartiere Parioli a Roma, il grande ufficio dove mi accoglie è di design e non contrasta con quello stile tanto in voga nella Belle Époque, anzi lo esalta. È una giornata caldissima e l’afa non dà tregua. L’atmosfera è cordiale e accogliente, poi c’è un’impeccabile aria condizionata tanto che penso a voce alta: “che sia benedetto l’ingegner Carrier, senza di lui oggi non avremmo questo bel fresco”.
Alla mia esternazione, lui salta i convenevoli e mi chiede a bruciapelo: “Lo sa come gli è venuto in mente di progettare il primo moderno sistema di climatizzazione? Era uno che voleva risolvere una delle sfide più elusive dell’umanità: regolare l’ambiente interno. A soli 25 anni brevettò la sua macchina per la riduzione dell’umidità e il controllo della temperatura nell’aria. Un’idea che aiutò innanzitutto i lavoratori di una tipografia di Brooklyn dove i continui sbalzi di umidità rendevano difficile il corretto trattamento della carta e degli inchiostri. Poi arrivò un po’ ovunque ed è grazie a lui se è cambiato definitivamente il nostro modo di vivere, lavorare e divertirci. È a persone così che dobbiamo guardare, alla loro visionarietà”.
Lui è Stefano di Giacomo, ingegnere, fondatore e l’Ad di una di quelle società che, a partire da Olivetti, hanno cercato e cercano di rendere migliore e più bello non solo il nostro Paese, ma l’ambiente di lavoro e il lavoro stesso. Inteso come qualità di vita: non è un caso se Alcotec in soli 21 anni dalla sua creazione è considerata, dalle classifiche stilate dagli operatori del settore, fra le prime società di ingegneria e progettazione italiane, ma anche da suoi dipendenti. Una di quelle aziende che nel mondo vengono considerate dei veri best work place.
Progettiamo edifici, autostrade, hotel, telescopi giganti, stadi. Alla base del nostro operare c’è sempre un’idea chiara: pensare e lavorare per un mondo migliore. E, in attesa che donne e uomini lo rendano tale, cerchiamo di restituire la realtà alle idee guardando ai migliori valori dell’umanità: l’etica, la sostenibilità, la coerenza con l’ambiente, l’abbattimento delle barriere architettoniche, la valorizzazione delle risorse, anche di quelle umane, la bellezza, l’inclusione. Queste sono le caratteristiche su cui puntiamo e che tentiamo di portare sempre nei servizi che offriamo ai clienti. Insomma, proviamo non solo a dire quello che facciamo, ma tentiamo ogni volta di fare anche quello che diciamo.
Senza dubbio quello dell’ingegneria e dell’edilizia è un contesto fortemente machista, tuttavia la nostra società vanta oltre il 60% di collaboratrici. Non conosciamo distinzioni di sesso, orientamento sessuale, età, razza, religione. Tantomeno, buste paga alla mano se vuole, il tanto diffuso e mai troppo condannato gender pay gap (divario salariale tra uomini e donne ndr.) Come per esempio la discriminazione che sul lavoro hanno le donne che vogliono un figlio: che sia ben chiaro la gravidanza non è un danno per qualsivoglia azienda, è un fatto naturale ed è la bellezza di poter dare la vita. E un solo normale e legale periodo di assenza. E le garantisco che poi quando le donne tornano a lavorare sono anche più motivate di prima.
Sa ho sempre creduto nelle competenze e nella meritocrazia: se sai costruire qualcosa, e lo sai fare bene, la nostra società può fare per te. Se vuoi costruire qualcosa, e vuoi farlo sentendoti parte di questo pianeta noi siamo qui… Siamo una società strutturata, con procedure organizzative, flow chart, facciamo meeting e call, roll up sui crediti, giochiamo a calcetto, gestiamo operations, firmiamo memorandum of understanding, mangiamo pasticcini se un collega arriva o se ne va, partecipiamo ai consigli di amministrazione, approviamo aumenti di capitale, giochiamo al fantacalcio, progettiamo in BIM, pianifichiamo e gestiamo progetti complessi con software Primavera. E ci beviamo una birra o una coca dopo 10 ore di lavoro sentendoci stanchi, ma soddisfatti. Siamo l’Italia che lavora e l’Italia del lavoro che si evolve.
Stiamo lavorando su diverse commesse e progetti, ma ce n’è uno che al momento è in stand by a cui tengo in modo particolare. È ben chiaro nella mia testa, ma è solo sulla carta. Ricorda il ritornello della canzone di Rita Pavone: “perché, perché la domenica mi lasci sempre sola per andare a vedere la partita di pallone…” Parole frutto di un’epoca in cui lo stadio era un posto da uomini, un luogo da vivere la domenica solo insieme alla propria squadra del cuore. Non me ne voglia Rita Pavone ma lo stadio che vorrei è un luogo nuovo, diverso… È un HUB sociale, che si integra con il tessuto urbano e risponde ai bisogni della popolazione; un traino che favorisca corretti comportamenti sociali ed etici; un contesto sportivo vissuto non solo in termini agonistici, ma che contribuisca anche alla formazione del buon cittadino.
Come società partecipiamo e abbiamo partecipato alla progettazione di vari stadi in Italia, ma mi sono accorto che la popolazione non ha bisogno solo di un nuovo stadio, ma di un “luogo nuovo”: fruibile durante tutto l’anno e da tuttǝ, comprese le persone diversamente abili. Dove sia prevista una sensibile accoglienza per le disabilità motorie, creando una vera e propria “Cittadella dello Sport”: sostenibile e universale. Dove lo sport non sia inteso solo in termini agonistici come calcio giocato, ma soprattutto con quell’idea di gioco che è insita nella etimologia della parola sport, che non è altro che il tornare a giocare. Tuttǝ possono giocare o tornare a giocare in uno stadio che però sia luogo dell’essere e sentirsi sportivi come stile di vita.
Non saprei risponderle, so solo che amo lo sport, ho passato la mia vita sui campi da rugby, e quindi non posso che essere felice di questi risultati. Anche se poi sono profondamento convinto che i luoghi dello sport debbano essere anche luoghi di cultura, aggregazione e socialità. Ecco perché immagino questo “mio stadio” come un posto dove ci possa essere anche un museo dello sport e non solo del calcio. Ma di tutti quegli sport caratterizzanti il paese dove viene costruito. Lo immagino luogo di formazione, dove gli studenti imparano e vivono nelle “student house” adiacenti al “catino” dello sport. Un luogo polifunzionale e architettonicamente bello perché ricordiamoci: è la bellezza che salverà il mondo. Un luogo ecosostenibile, che non invada l’ambiente, che venga carezzato dal mare se c’è, che si autosostenga con il fotovoltaico e che consenta la ricarica di veicoli elettrici.
Uno spazio grande, largo, per una vasta fruizione da vivere ogni giorno e non solo la domenica. Sicuramente con varie attività commerciali, ma anche per esempio con centri di fisioterapia. Non solo prodotti ma anche servizi. Insomma, un luogo in cui perdere il fiato per la propria squadra del cuore, ma anche in cui fermarsi per riprendere fiato, e poi perderlo correndo e giocando, e poi riperderlo guardandolo.
Fatta di persone con la voglia di conquistare il mondo con la bellezza. Mi piace pensare ad un destino nelle mani di persone che vedono oltre. Non è facile incontrare chi guarda nella stessa tua direzione. Io, a parte i miei familiari stretti, non ho soci. Quando, dopo 15 anni vissuti nelle imprese di costruzione, ho deciso di fondare Alcotec, ormai 21 anni fa, ho avuto sempre chiaro in mente il mio sogno, disegnato su una mappa solo a me nota e ben sapendo che avrei fatto tesoro degli errori compiuti, a volte evitandoli, altre ripetendoli e alcune volte meglio, senza fermarmi mai però. L’ho fatto insieme a quelli che potrei definire un “manipolo di eroi”, ingegneri con una visione e senza paura che volevano conquistare il mondo, mattone dopo mattone. E oggi siamo una società per azioni. Per essere grandi non serve sbattere i piedi e urlare: serve sapere fare bene e onestamente il proprio lavoro.