MONTAGNE E GHIACCIAI IN PERICOLO

La tragedia avvenuto lo scorso mese in Marmolada ha fatto scattare l’allarme sui danni provocati dai cambiamenti climatici. Monitoraggio e mappatura interventi indispensabili.

AMBIENTE
Domenico Aloia
MONTAGNE E GHIACCIAI IN PERICOLO

La tragedia avvenuto lo scorso mese in Marmolada ha fatto scattare l’allarme sui danni provocati dai cambiamenti climatici. Monitoraggio e mappatura interventi indispensabili.

Il distacco di una porzione del ghiacciaio della Marmolada a quota 2800 metri nel comune di Canazei in Trentino ha causato la morte di 11 alpinisti, e mostrato ancora una volta la fragilità del territorio montano. Sotto accusa soprattutto i cambiamenti climatici, ritenuti colpevoli dello scioglimento dei ghiacciai per l’aumento anomalo delle temperature anche in una stagione eccessivamente calda come quella attuale, nella quale sul ghiacciaio della Marmolada il termometro ha fatto registrare 10° e lo zero termico posizionato a 4700 m, oltre che dell’innalzamento dei livelli dei mari e degli oceani, la riduzione della biodiversità e molto altro.  Per non perdere il patrimonio ambientale e paesaggistico, ma anche quel concentrato di bellezza che le montagne garantiscono, c’è bisogno di un cambio di passo. È necessario un attento monitoraggio in grado di creare le condizioni per limitare l’impatto dei cambiamenti climatici, oltre allo studio di azioni di sensibilizzazione che possano frenare il turismo selvaggio e la presenza di alpinisti improvvisati.

L’ attività di monitoraggio non può prescindere dalla conoscenza del patrimonio glaciologico nazionale. I dati più recenti ai quali riferirsi sono elaborati nell’ ambito progetto sulla revisione del catasto dei ghiacciai italiani del 2016 messo a punto dal gruppo di ricerca glaciologica dell’Università degli Studi di Milano, dipartimento di scienze della terra “A. Desio” in collaborazione con Sanpellegrino Spa, associazione EvK2CNR e il Comitato Glaciologico Italiano. Nel nostro paese sono presenti 903 ghiacciai per una estensione di 369,30 Km2, così suddivisi:

  • 25,4 % (230) in Lombardia
  • 23,4 % (212) Alto Adige
  • 20,64% (192) Valle d’ Aosta
  • 12,73% (115) Trentino
  • 11,84% (107) Piemonte
  • 4,20 % (38) Veneto
  • 0,77 % (7), Friuli Venezia Giulia
  • 0,22% (2) Abruzzo.

A essersi ridotto rispetto a quanto rilevato nel catasto glaciologico del 1989 non è tanto il numero di ghiacciai in sé, diminuiti solo in Valle d’Aosta (- 12) e in Piemonte (- 8) e addirittura aumentati in Lombardia (+ 45) e Trentino (+ 24) ma la superficie totale che ha visto un decremento del 30% passata da 526,88 Km2 a 368.10 Km2 con le maggiori variazioni in negativo registrate in Valle d’Aosta, Alto Adige e Piemonte.

Il progetto risponde anche alla domanda che in molti (più o meno esperti del settore) si pongono soprattutto in occasione di eventi nefasti come quello della Marmolada, e vale a dire quanto intenso è stato l’impatto dei cambiamenti climatici sul futuro dei ghiacciai.

La riduzione dei ghiacciai nelle alpi è evidente fin dal XIX anche se è aumentata negli ultimi 40 anni con la perdita di oltre il 50% del proprio volume (40% della superficie in meno rispetto al catasto del 1989) che si ipotizza possa raggiungere il 75% con i ghiacciai al disotto dei 3500 metri che entro i prossimi trent’ anni corrono seriamente il rischio di scomparire. L’effetto principale del depauperamento dei ghiacciai è rappresentato dalla riduzione della portata dei bacini idrici (fiumi, laghi, ecc), come dimostrano le immagini degli ultimi mesi con i fiumi italiani in secca, su tutti il Po. Scarsa portata dei corpi idrici che si riflette inevitabilmente anche sulla disponibilità d’ acqua per il settore agricolo e zootecnico con tutte le conseguenze sulla produzione primaria che ne conseguono

È altresì necessario intervenire sulle cause scatenanti dei cambiamenti climatici, ad esempio riducendo le emissioni climalteranti del 43% entro il 2030 per evitare il fatidico aumento di 1,5° causa riscaldamento globale. Obiettivo che ogni uno di noi può raggiungere attraverso scelte sostenibili, tra le quali l’ottimizzazione dei consumi energetici e la riduzione degli sprechi, l’impiego di fonti di energia rinnovabile, ricorrere alla mobilità elettrica, ridurre gli imballaggi. Piccoli e grandi gesti di quotidianità per salvare il pianeta.

Il parere dei ricercatori in merito al crollo del ghiacciaio della Marmolada

Numerosi i pareri espressi in merito al disastro della Marmolada, tra questi quello confluito nel comunicato stampa congiunto del gruppo di lavoro Glaciologico Geofisico per le Ricerche sulla Marmolada, formato del Comitato Glaciologico Italiano, Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale di Trieste, Università di Padova e Parma.

Il Comitato Glaciologico, fin dal 1895, anno della sua istituzione ha monitorato in continuo il ghiacciaio raccogliendo dati e foto, rendendoli disponibili a cittadini e comunità scientifica. Da questo lavoro è emerso che il ghiacciaio ha ridotto la superficie del 70%  e il volume del 90%, l’ analisi della velocità di ritiro del ghiacciaio ha mostrato un suo incremento di 8,4 metri/anno  nel periodo 1951 – 1966 e 10,3 metri/anno nel periodo 1971 – 2015, rispetto agli appena 0,5 m tra il 1902 e il 1906 e 5 m tra il 1925 e il 1938. Si è notato anche un aumento della temperatura minima invernale di oltre 1,5°C.

Tra le cause che potrebbero aver contribuito al distacco, la forte inclinazione del pendio roccioso, l’apertura di un crepaccio che ha separato il corpo glaciale in due unità, l’anomalo aumento delle temperature, l’aumento della fusione con incremento della circolazione dell’acqua all’ interno del ghiaccio causa di una crescita dello stress sulle superfici di discontinuità, la fusione della fronte glaciale che ha ridotto il sostegno alla massa sospesa. Un evento comunque considerato estremamente difficile da prevedere e che in qualche modo è stato innescato da alcune di queste cause.

Il gruppo di lavoro glaciologico geofisico per le ricerche sulla Marmolada spiega che « Nel lungo termine l’unica azione efficace è quella di trovare un accordo globale che consenta la riduzione dell’emissione di gas serra per mitigare il riscaldamento terrestre. Nel breve termine si può solamente ricorrere a strategie di adattamento che consentano la razionalizzazione delle risorse e una maggiore efficienza nella realizzazione delle infrastrutture, nei processi industriali e nei modelli sociali ».

Anche se in ritardo è necessario intervenire.  E anche per Protezione Civile e CAI (Club alpino italiano) la mappatura dei ghiacciai è necessaria. La tragedia della Marmolada ha messo in luce, se mai ce ne fosse bisogno, di quali e quanti siano i rischi della montagna e della necessità di porvi rimedio. Troppo spesso però si preferisce intervenire una volta che i fatti sono accaduti – mettendo la classica pezza – ingigantendo il problema, quando sarebbe molto più semplice prevenire gli accadimenti. Spesso però gli eventi, in questo caso legati al clima, precedono qualsiasi decisione e modificano le scelte sia nell’ immediato che nel futuro.

A riprova di questo, a pochi giorni dalla tragedia, durante una riunione convocata dal Capo del Dipartimento di Protezione Civile Fabrizio Curcio per comunicare i riscontri della riunione della Commissione Grandi Rischi, una nota il Dipartimento della Protezione Civile ha posto l’accento sulla necessità di una mappatura del rischio dei ghiacciai. «Dalla Commissione Grandi Rischi è emersa la necessità di modellare i meccanismi di innesco dei fenomeni di instabilità, che potrebbero anche permettere l’identificazione di validi precursori e indirizzare il monitoraggio di grandezze fisiche rilevanti nel processo e la necessità di approfondire le modalità di propagazione verso valle dei flussi conseguenti ai crolli, necessari per perimetrare le aree soggette a pericolosità» «Sarà quindi necessario mappare la pericolosità e il rischio in ambiente glaciale e periglaciale, l’individuazione delle aree particolarmente critiche sulla base della tipologia dei ghiacciai, dell’ informazione storica e delle evidenze dei fenomeni in atto e la  predisposizione di sistemi di monitoraggio sulle aree di maggiore criticità».

Anche il CAI spinge per il monitoraggio. A dimostrarlo la presenza della stazione di controllo dei ghiacciai al rifugio Gastaldi, di proprietà del Cai di Torino sulle alpi piemontesi a quota 2654 m di fronte al ghiacciaio della Bessanese, nel comune di Balme. La struttura inaugurata lo scorso 16 luglio, è frutto di una convenzione tra Regione Piemonte con Arpa Piemonte, Cai Piemonte, Cai Torino, Museo Nazionale della Montagna, Cnr- Irpi, quest’ultimo impegnato nel posizionare in quota e monitorare una rete di sensori per lo studio del ghiacciaio.

Anche Legambiente scende in campo

Orientare le scelte politiche in fatto di cambiamenti climatici e sensibilizzare la popolazione, è quanto si prefigge la terza edizione di “Carovana dei ghiacciai” promossa da Legambiente e Comitato Glaciologico Italiano in programma dal 17 agosto al 5 settembre. L’ iniziativa, parte della campagna Change Climate Change, in cinque tappe attraverso le Alpi, dalla Valle d’Aosta fino al Friuli Venezia Giulia, propone dibattiti sul presente e sul futuro dell’ambiente alpino, sulle conseguenze dei cambiamenti climatici, attraverso escursioni in quota, conferenze, riflessioni sul clima in mutamento e anche momenti ludici.

Le varie tappe prevedono :

I tappa. 17 – 19 agosto Valle d’ Aosta ghiacciai Miage e Prè de Bar

II tappa. 20 – 22 agosto – Piemonte – ghiacciaio del Monte Rosa

III tappa. 23 – 26 agosto – Lombardia – ghiacciaio dei Forni

IV tappa. 27 – 31 agosto  –  Veneto – Trentino – Marmolada

V tappa. 1 – 3 settembre – Friuli Venezia Giulia – Montasio

Nella tappa in Valle d’ Aosta si terrà un incontro sulla falesia di ghiaccio del lago Miage e verrà indagata l’evoluzione glaciale e la fragilità dei versanti in Val Ferret e osservata la frana del Triolet con risalita nel vallone e sulle morene del Pre de Bar. La tappa piemontese si concentrerà sul ghiacciaio di Indren che si estende dai 4046 m ai 4215 m del monte Rosa dove fino a non molto tempo fa era possibile sciare anche in estate. In Lombardia osservato speciale sarà il ghiacciaio di Forni, situato in Alta Valtellina (Valfurva, Bormio) nel gruppo Ortles Cevedale nel parco nazionale dello Stelvio ad una quota compresa tra 2600 m e 3670 m. Si tratta dell’unico ghiacciaio cosiddetto himalayano, che purtroppo ha subito una drastica riduzione della superficie prossima al 36% negli ultimi 150 anni e attualmente si estende per meno di 11 Km2.

La campagna di Legambiente punta l’attenzione su quanto i cambiamenti climatici impattino sull’aumento delle temperature, in particolare oltre i 3500 metri con un conseguente abbassamento dello zero termico e la riduzione della neve al suolo e di quanto sia necessario preservare i ghiacciai per mantenere viva una memoria fragile che ci ricorda il passato attraverso dati importanti, ad esempio le temperature, come ha ricordato Vania Bonardo, responsabile nazionale  Alpi di Legambiente  «I ghiacciai rappresentano la memoria della storia dell’ uomo e del pianeta terra, tutto quello che è presente nell’ atmosfera e arriva dall’ aria si deposita sul ghiacciaio. I ghiacciai sono un racconto del passato, ci ricordano cose belle e brutte, le variazioni di temperatura, si tratta purtroppo di una memoria che stà scomparendo. Gli studiosi devono fare in fretta, raccogliere dati in tempi molto brevi, perché è come un libro le cui pagine vanno scomparendo».

La necessità di proteggere il fragile ambiente montano e garantire la sicurezza dei turisti

La fragilità dell’ ambiente montano, aggravata dai cambiamenti climatici e ormai sotto gli occhi di tutti, tanto da indurre a prendere decisioni drastiche per la sua salvaguardia e per quella dei suoi fruitori.  Il caldo anomalo e la siccità degli ultimi mesi, una delle cause dei crolli di porzioni dei ghiacciai e dello scioglimento dei ponti di neve che coprono i crepacci, hanno indotto la Società Guide Alpine di Courmayer ad interrompere le salite sul Monte Bianco verso il Dente del Gigante e la cresta di Rochefort, per garantire la sicurezza degli escursionisti. E la situazione non è allarmante solo all’interno dei confini nazionali: è di qualche giorno fa la notizia che Jean Marc Peillex, sindaco di Saint Gervais Les Bains, piccolo comune sul versante francese del Monte Bianco in Alta Savoia, ha introdotto una cauzione di 15 mila euro per coloro i quali fossero intenzionati a raggiungere la vetta del Bianco, la cui ascesa parte proprio dal paese. Decisione scaturita dal fatto che sono troppi coloro i quali, spesso in maniera improvvisata, si accingono ad affrontare la scalata o che ignorano del tutto l’invito ad affrontare la montagna. La cifra come dichiarato dal Sindaco verrà impiegata per pagare i soccorsi e nella peggiore delle ipotesi il funerale.