NESSUNA EMOZIONE

I racconti del prof. Stefano Grifoni: ogni riferimento a fatti e personaggi non è puramente casuale.

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Stefano Grifoni
NESSUNA EMOZIONE

I racconti del prof. Stefano Grifoni: ogni riferimento a fatti e personaggi non è puramente casuale.

Le due donne erano sedute l’una accanto all’altra. Non parlavano, tra loro regnava un silenzio inquieto. Mentre attraversavo la corsia gli occhi verdi e i capelli biondi lunghi e lisci di Sara, la più giovane, mi fecero ricordare una mia compagna di liceo. Anna invece aveva occhi castani, naso e bocca piccola e capelli neri raccolti. Seppi successivamente che erano madre e figlia. Notai la mancanza di rughe sul volto di Anna, specie sulla fronte e a livello degli occhi. Le due donne si erano rivolte al pronto soccorso per la comparsa, qualche ora dopo pranzo, di nausea e di assoluta difficoltà ad alzare le spalle. Una ragazza seduta vicino a loro chiese a Sara dove abitavano.
Sara rispose: «In campagna» senza aggiungere altro. Non aveva voglia di parlare. Pensava alle sue rose, al rumore del ruscello vicino a casa, all’abbaiare dei cani e ai tramonti che poteva godere seduta su una pietra in cima alla collina. Ora sembrava che la sua vita non gli appartenesse più e non sentiva il piacere di riprenderla immersa in tanta malinconia.
Da questi pensieri la distolse il medico che le chiese: «Ha preso qualche farmaco? Ha un viso sognante…».

Sara non riusciva a spiegarsi, era confusa e trovava difficile e faticoso descrivere la sua condizione ma nonostante tutto riuscì a riferire al medico, aiutandosi anche con i gesti, della debolezza che le impediva di alzare le braccia e di tenere gli occhi aperti. Sara disse: «Dottore, mia madre sta peggio di me, vada da lei…».
Il medico sorrise e le rispose di non preoccuparsi. Il dottore che stava visitando Anna si accorse che era trasformata nel volto. Le pieghe spianate della fronte e delle labbra impedivano al suo viso di esprimere qualsiasi emozione.
«Cosa ha mangiato, signora?» chiese il medico. Temeva di non riuscire a capire cosa fosse successo vista la difficoltà che aveva trovato nel raccogliere informazioni. Pensò tra sé: «Persona strana, vive in un bosco, timida, riservata e molto diffidente, quindi difficile intuire il motivo che l’ha spinta a venire in ospedale».
L’incapacità di comunicare era il segreto che rese Anna ancora più attraente. Il medico non perse la speranza e chiese ancora ad Anna cosa avesse preparato per il pranzo. Lei rispose lentamente con sguardi che non si accompagnavano né a gesti delle mani né ad altri movimenti. Era nell’animo sospettosa nei confronti degli altri e delle loro azioni, anche se tollerante e acuta nei giudizi. Ricordava quello che gli avevano detto persone di sua conoscenza degli ospedali e dei dottori e della quantità di reclami e di denunce per cure e diagnosi sbagliate, circostanze in cui gli unici responsabili erano i sanitari.

Anna disse al medico: «Speriamo che riesca a capire cosa mi è successo…».
Il dottore comprese la sua diffidenza. Era penoso pensare che la sua paziente non aveva fiducia in lui. Come convincerla che si sbagliava? «Eppure da stamani ho visitato tanta gente» pensava «e qualcuno è ancora vivo grazie alle cure del pronto soccorso. Per i malati cronici, quando stanno male, esiste solo l’ospedale come anche per gli alcolisti, i tossici e gli psichiatrici agitati che maltrattano il personale sanitario e a volte lo aggrediscono… Nonostante che poi molti si lamentino per il lungo tempo di attesa prima di essere visitati, tutti per risolvere un problema si rivolgono al pronto soccorso». Il dottore si perse nei suoi pensieri negativi aspettando i risultati delle analisi di Anna.

Il medico che aveva visitato Sara disse a voce alta: «Hanno mangiato dei sottoli preparati in casa. Quando hanno aperto il barattolo la ragazza ha avvertito un odore sgradevole e ha visto delle bollicine all’interno. Il tappo era rigonfio prima di aprirlo». E concluse: «Queste due donne sono affette da botulismo».
Il sangue di Sara e di Anna fu inviato all’Istituto Superiore di Sanità che confermò la diagnosi e inviò il siero antibotulinico. L’antidoto arrivò in ospedale in circa due ore. Dopo aver ricevuto il siero Sara cominciò a migliorare gradualmente. Lo stesso farmaco somministrato ad Anna le provocò una grave allergia che richiese altre cure in urgenza. Alla fine tutte e due le donne stavano bene. Subito dopo il successo diagnostico e terapeutico chiesi ad Anna cosa avesse provato nel momento che era arrivata in ospedale. «Sa, poteva morire con questa malattia» le dissi.
«Cosa ho provato? Nessuna emozione» rispose lei «anche se sono ancora molto sorpresa e perplessa di trovarmi in pronto soccorso. Quando mi sono sentita meglio mi è sembrato di ricominciare a vivere. Molto strano e molto eccitante.» Dopo un po’ aggiunse: «Giusto così, i medici devono fare il loro dovere». E a pensarci bene, che avrebbe potuto rispondere quella donna? Niente che io già non sapessi.