Intervenire sui processi decisionali per salvaguardare la biodiversità. È questo l’obiettivo del progetto europeo Planet4B, a cui l’Università di Pisa – unico partner italiano su 16 partecipanti – contribuisce con uno studio sul settore moda, che vede coinvolti il Dipartimento di Scienze Politiche e il gruppo di ricerca Pisa Agricultural Economics – PAGE del Dipartimento di Scienze Agrarie, Alimentari e Agro-ambientali, assieme al CISP – Centro Interdisciplinare Scienza per la Pace.
Gli studi parlano chiaro: le filiere della moda contribuiscono, tra le altre cose, al degrado del suolo, alla conversione degli ecosistemi naturali e all’inquinamento delle vie d’acqua. La perdita di biodiversità e il cambiamento climatico sono interdipendenti e si rafforzano a vicenda: l’uno accelera l’altro e viceversa.
Sono cinque i maggiori contributori del settore dell’abbigliamento alla perdita di biodiversità come sottolinea The Procurement (www.theprocurement.it):
Agricoltura del cotone
Il cotone è la fibra non sintetica più utilizzata al mondo. L’agricoltura è particolarmente intensiva di insetticidi e pesticidi: sebbene il cotone cresca solo sul 2,4% dei terreni coltivati globali, rappresenta il 22,5% dell’uso mondiale di insetticidi, più di qualsiasi altra singola coltura, e il 10% di tutto l’uso di pesticidi. Il cotone è anche una coltura ad alta intensità d’acqua; alcune stime suggeriscono che sono necessari 2.700 litri di acqua per produrre una maglietta.
Fibre naturali a base di legno / fibre di cellulosa sintetica
Le fibre di cellulosa sintetiche sono creati dalla cellulosa, derivata principalmente dal legno. Secondo le stime, più di 150 milioni di alberi vengono abbattuti ogni anno per la loro produzione. Mentre la maggior parte proviene da piantagioni di alberi certificate e sostenibili, fino al 30% possono provenire da foreste primarie e in via di estinzione.
Tintura e trattamento dei tessuti
Circa il 25% dell’inquinamento idrico industriale proviene dalla tintura e dal trattamento dei tessuti. Questi processi sfruttano eccessivamente le risorse di acqua dolce e contaminano i corsi d’acqua attraverso il deflusso chimico e i rifiuti liquidi non biodegradabili.
Microplastiche
7 milioni e mezzo di tonnellate di microfibre (che sono un tipo di microplastica) finiscono negli oceani ogni anno. Si stima che il 35% delle microplastiche primarie negli oceani del mondo provenga dal lavaggio di tessuti sintetici.
Rifiuti
Solo il 12% dei rifiuti tessili viene riciclato e meno dell’1% viene riciclato a ciclo chiuso. Quasi tre quarti (il 73%) dei rifiuti tessili viene incenerito o finisce nelle discariche, che rilasciano inquinanti nell’ambiente circostante e contribuiscono alla perdita dell’habitat.
“L’importanza di questo progetto sta nell’approccio con cui il tema della difesa della biodiversità verrà affrontato – spiega il dott. Daniele Vergamini, ricercatore del gruppo PAGE – Invece di concertarsi sui processi di produzione e sui prodotti, Planet4B vuole intervenire, infatti, sul piano delle decisioni: quelle politiche e aziendali, ma anche quelle che ciascuno di noi prende, ogni giorno, a livello personale. Questo con l’obiettivo di trovare le leve giuste per innescare un cambiamento nell’impostazione mentale della società, sia sul fronte della produzione che dei consumi, che ci permetta di dar vita, concretamente, a quel nuovo paradigma di sviluppo che da anni viene invocato, ma che ancora non è stato realizzato”.
I dati parlano chiaro. L’industria tessile e della moda – oggetto dello studio condotto dall’Ateneo pisano all’interno del progetto – ha un impatto fortissimo sulla biodiversità lungo tutta la sua catena: produzione, lavorazione, uso e fine vita dei prodotti. La produzione di materie prime, come cotone, viscosa, lana, gomma o cuoio, ad esempio, è caratterizzata da un uso intensivo di pesticidi e insetticidi e da un grande consumo di acqua. Basti pensare che 1 kg di cotone richiede tra 10.000 e 20.000 litri di acqua per essere prodotto.
Mentre la fase di lavorazione è responsabile del 20% dell’inquinamento idrico mondiale e si colloca al quarto posto per produzione di CO2. Non da meno è, poi, l’impatto dei prodotti tessili e della moda al termine della loro vita, con il 73% dei tessuti che finisce bruciato o in discarica, rilasciando inquinanti che influenzando negativamente la biodiversità e il clima.
Alla base di questo contributo negativo delle industrie tessili e della moda alla perdita di biodiversità, le nostre decisioni di produttori e consumatori, per modificare le quali è fondamentale avere una comprensione più profonda di come la società civile guardi alla biodiversità – termine spesso abusato e utilizzato in modo improprio – e di quali siano i fattori che influenzano le scelte di ognuno di noi, ad esempio, nell’acquisto di vestiario, borse o accessori.
Assolutamente innovativo il metodo adottato dai ricercatori del progetto partito, ufficialmente, nel dicembre scorso e finanziato con fondi Horizon 2020. Sfruttando l’approccio della cosiddetta ricerca-azione, pensato proprio per comprendere le problematiche esistenti in specifici contesti attraverso la condivisione dei saperi del ricercatore e degli attori sociali coinvolti, i ricercatori produrranno, entro il 2025, un quadro applicativo transdisciplinare che permetta di sviluppare una governance efficace ed efficiente per la politica, le imprese e la società civile.
Per farlo, si partirà dall’analisi delle esistenti teorie multidisciplinari sul comportamento, dei metodi e delle buone pratiche applicabili ai comportamenti e ai processi decisionali che impattano sulla biodiversità. Allo stesso modo saranno tenuti in grande sconsiderazione fattori – spesso trascurati – come il genere, la religione, l’etnia, l’età, la cultura o la disabilità, così da capire come questi influenzino le decisioni individuali e di comunità e la loro sostenibilità ambientale.
Successivamente verranno valutati, sugli 11 casi-studio del progetto, i principali metodi di trasformazione comportamentale, dai giochi esperienziali alle attività creative e deliberative, così da testarne l’effettiva applicabilità ed efficacia.