S.O.S. FRUTTA ITALIANA

La perdita di 100 mila alberi e oltre 100 mila ettari di superficie coltivata a frutta negli ultimi 15 anni. Calano i consumi, aumentano le barriere commerciali e la concorrenza sleale.

AMBIENTE
Maria Carla Ottaiano
S.O.S. FRUTTA ITALIANA

La perdita di 100 mila alberi e oltre 100 mila ettari di superficie coltivata a frutta negli ultimi 15 anni. Calano i consumi, aumentano le barriere commerciali e la concorrenza sleale.

La spremuta d’arancia del mattino rischia di diventare un miraggio. Stando infatti ai dati raccolti da Coldiretti, a causa dei cambiamenti climatici e della progressiva desertificazione, negli ultimi 15 anni sono sparite circa 100 mila piante da frutta su una superficie coltivata complessiva che si è ridotta di oltre centomila ettari.

Colpite dalla crisi, un po’ tutte le produzioni: mele, pere, albicocche e ciliegie, ma soprattutto arance, con 16,4 milioni di alberi abbattuti, uva, per la quale si registra la sparizione di 30,4 milioni di viti e pesche che hanno contato la perdita di 20 milioni di alberi.

Un bilancio pesantissimo per la nostra agricoltura con conseguenze anche sul primato produttivo nazionale in Europa che attualmente riguarda mele, pere, ciliegie e uve da tavola, kiwi e castagne fino al cedro e al bergamotto, gli unici con dati in controtendenza e la cui produzione mondiale si concentra per il 90% in Calabria.

Preoccupanti le ripercussioni della situazione denunciata da Coldiretti anche dal punto ambientale: oltre a favorire alluvioni e frane, la scomparsa di tutte queste migliaia di piante significa anche la perdita dei benefici che esse arrecano all’ecosistema, alla biodiversità, alla qualità dell’aria che respiriamo. Oltre, come è noto, a rimuovere CO2, una pianta adulta elimina circa 20 chili di polveri e smog in un anno. Tradotto – spiega Coldiretti – con la strage di piante da frutto è venuta meno in Italia la capacità di assorbimento di ben 2 milioni di chili di inquinanti all’anno.

E non basta, il surriscaldamento globale ha portato con sé nuovi nemici: parassiti mai visti prima hanno infatti invaso il nostro Paese e falcidiato molte delle nostre produzioni. È il caso del cinipide galligeno che ha attaccato le castagne, della “tristeza” che si è abbattuta sui nostri agrumeti, o della recente aggressione della “cimice marmorata asiatica” alle piantagioni del nel Nord Italia.

Ai molteplici danni provocati dalle mutate condizioni climatiche – spiega ancora Coldiretti – si aggiungono ulteriori fattori che, sommati, per gli agricoltori non possono che far scattare l’S.O.S. Innanzitutto l’aumento dei prezzi al dettaglio, dovuto all’impennata – fino al 42% – dei costi di produzione (carburanti ai fertilizzanti, imballaggi etc.), che ha provocato la caduta libera dei consumi facendo segnare un – 8 di punti percentuali su base nazionale nel solo 2022. In questo anno – rileva il rapporto – gli italiani hanno ridotto del 17% le quantità di pere, del 11% le arance e l’uva da tavola, dell’8% le pesche, le nettarine e i kiwi e del 5% le mele. Il che, sulla bilancia, significa un totale di 2,8 miliardi di chili di frutta consumata sulle nostre tavole nel corso dell’anno, ovvero poco più della metà di quella che abbiamo consumato a fine 2000 e sotto la soglia minima dei 400 grammi al giorno di frutta e verdure fresche per persona, raccomandato dal Consiglio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per il mantenimento di una dieta sana.

<<Last but not least>> – denuncia ancora Coldiretti – a minacciare il settore sono anche le barriere commerciali e la concorrenza sleale delle produzioni straniere con la frutta nostrana stretta nella morsa del protezionismo da un lato e del dumping economico e sociale dall’altro.

Le pere cinesi Nashi, ad esempio, arrivano regolarmente nel nostro Paese ma quelle italiane non possono andare in Cina perché non è stata ancora concessa l’autorizzazione fitosanitaria. E finché non è chiuso il dossier pere non si può passare alle mele, perché – spiega la Coldiretti – i cinesi affrontano un dossier alla volta. Condizioni analoghe per quanta riguarda l’esportazione dei nostri kiwi in Giappone, attualmente impedita a causa del mancato completamento del dossier fitosanitario aperto dal 2008 e nonostante l’accordo di libero scambio Jeta siglato dall’Unione Europea con il governo nipponico.

Ma non solo, quasi 1 prodotto alimentare su 5 importato in Italia non rispetta le normative in materia di tutela della salute e dell’ambiente o i diritti dei lavoratori vigenti nel nostro Paese ed è spesso addirittura spinto da agevolazioni e accordi preferenziali stipulati dall’Unione Europea. Per fare qualche esempio, nel nostro Paese arrivano tranquillamente le nocciole della Turchia, l’uva dell’Argentina e le banane del Brasile, tutti paesi formalmente accusati di sfruttamento di lavoro minorile ma con i quali l’Ue ha comunque avviato accordi commerciali di libero scambio.

Lanciato l’allarme, Coldiretti chiede pertanto che, non solo si intervenga per garantire lo stesso percorso di controlli e qualità (lavoro, ambiente, salute) per gli alimenti italiani e stranieri venduti al dettaglio nel nostro Paese, secondo il principio di reciprocità, ma anche che ci si attivi i tempi rapidi per tutelare il futuro delle oltre diecimila giovani imprese agricole che hanno scelto di investire nel settore ortofrutticolo introducendo un apporto importante dal punto di vista dell’innovazione di prodotto, della tecnologia e della sostenibilità delle coltivazioni e che, alle condizioni attuali, rischiano di pagare pesantemente il prezzo della crisi che sta investendo e nostre produzioni.