SUL GREENWASHING LA DANIMARCA FA SCUOLA

Una guida per il marketing ambientale per cui senza LCA (analisi del ciclo di vita di un prodotto) per le aziende possono fare promesse pubblicitarie green.

AMBIENTE
Sara Stefanini
SUL GREENWASHING LA DANIMARCA FA SCUOLA

Una guida per il marketing ambientale per cui senza LCA (analisi del ciclo di vita di un prodotto) per le aziende possono fare promesse pubblicitarie green.

Facile dire di questi tempi sostenibilità. Ma quanto ci viene proposto sotto l’egida del “verde” si può davvero considerare sostenibile? Per ovviare a possibili “fregature” la Danimarca ha deciso che le aziende senza Life cycle assessment (LCA) non si possano spendere in claim di sostenibilità: le dichiarazioni ambientali che vengono oggi sempre più impiegate a fini soprattutto di marketing.  Con la pubblicazione della “Guida rapida per le aziende sul marketing ambientale” l’Ombudsman danese, l’ente analogo alla nostra Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) è intervenuta in modo inciso contro l’uso improprio, vago, fuorviante, scorretto, ingannevole dei green claim. Così se tali affermazioni e slogan non sono supportati da un LCA, cioè da un’analisi del ciclo di vita, le dichiarazioni sono da considerarsi greenwashing.  Una decisione quella dell’Antitrust danese destinata a fare scuola in Europa in tempi di transizione ecologica, in cui uno dei punti fondamentali è proprio quello di contrastare il fenomeno del greenwashing.

In Italia la prima sentenza per greenwashing è stata emessa dal tribunale di Gorizia nel novembre 2021, un segno evidente di come, anche nel nostro Paese, stia crescendo l’attenzione contro le dichiarazioni “verdi” fasulle. Già più di un anno e mezzo fa la Commissione europea aveva diffuso dei dati sui risultati di un’analisi di siti web riguardanti dichiarazioni di “sostenibilità” di prodotti e servizi, evidenziando come più della metà ricadessero nell’illecito. Il 37% di questi green claim fuorvianti si basava su affermazioni vaghe e generiche, il restante 59% era privo di informazioni oggettive e dati a sostegno. A fronte di questo la Commissione ha evidenziato che le aziende per comunicare correttamente, nel rispetto dei consumatori, i propri valori ambientali, dovessero sottostare a un’indicazione fondamentale: in assenza di dati non è lecito parlare di “sostenibilità”. Anche perché è bene ricordarlo la “sostenibilità” è un concetto relativo che ha ragione di esistere solo quando è calato in un contesto ben definito per mezzo di comparazioni svolte utilizzando metodi oggettivi e condivisi.

La guida danese raccoglie tutte le principali decisioni al riguardo emesse dalle autorità di competenza. L’intento è quello di definire un confine netto tra il lecito e l’illecito, fornendo alle imprese un utile vademecum per comunicare i loro claim ambientali. Anche in ragione del fatto che spesso è alquanto difficile definire un qualsiasi prodotto o servizio genericamente “sostenibile”. Quindi soltanto un’analisi del ciclo di vita (LCA) può mettere al sicuro operatori economici e consumatori.

Cosa è LCA

L’acronimo sta per Life-Cycle Assessment ed è un metodo oggettivo di valutazione e quantificazione, svolto da un ente terzo, dei carichi energetici e ambientali e degli impatti potenziali associati a un prodotto o un servizio, a un processo o più genericamente a un’attività lungo l’intero ciclo di vita. Dall’acquisizione delle materie prime fino all’eventuale smaltimento o recupero e che viene definito dagli anglosassoni “form craddle to grave (dalla culla alla tomba) o ancora meglio in ottica circolare, “form craddle to craddle (dalla culla alla culla). Attraverso un’analisi di tipo LCA le dichiarazioni di sostenibilità sono senza dubbio maggiormente affidabili e il rischio di essere accusati di greenwashing viene meno anche perché rappresenta  l’unico strumento in grado di dimostrare che un prodotto, un servizio o un processo sia effettivamente migliore da un punto di vista ambientale rispetto a elementi analoghi, ovvero che abbia un impatto ambientale significativamente inferiore rispetto a quello di prodotti/servizi/processi della stessa categoria.

Anche se prima della pubblicazione danese questo principio è stato comunque utilizzato in giurisprudenza dalle varie autorità garanti, come suggerimento o prescrizione per aziende oggetto di ricorso per greenwashing o pubblicità ingannevole, la decisione dell’Ombudsman danese indubbiamente lo rafforza ancora di più. Cosa che speriamo possa contribuire ad accelerare la formulazione di una normativa armonizzata a livello comunitario, come già preannunciato dall’Initiative on Substantiating Green Claims della Commissione europea.