TUTTO PREVISTO

I racconti del prof. Stefano Grifoni: ogni riferimento a fatti e personaggi non è puramente casuale.

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Stefano Grifoni
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I racconti del prof. Stefano Grifoni: ogni riferimento a fatti e personaggi non è puramente casuale.

Una domenica mattina di fine ottobre Luciano fu trasportato in elicottero al pronto soccorso: era precipitato in un profondo fosso durante una battuta di caccia sugli Appennini. All’arrivo in ospedale era cosciente ma aveva molti dolori particolarmente al torace, alla schiena e alla spalla destra che sembrava lussata. Durante la caduta aveva lasciato andare il fucile, una vecchia doppietta a cui era molto affezionato.
«Dottore, mi sono sentito mancare e penso di essere caduto all’indietro, forse ho perso l’equilibrio… non riesco a parlare dal forte dolore alla spalla.» L’infermiere somministrò immediatamente un antidolorifico a Luciano e io riuscii a visitarlo.
Gli dissi: «Dobbiamo fare alcuni accertamenti e anche delle radiografie al rachide dorsale e lombare e alla spalla destra, e speriamo che non ci sia nulla di rotto». Poi chiesi: «Cosa stavate cercando?». «Beccacce. Siamo arrivati sul posto all’alba. Da dove eravamo potevamo godere di un grande spettacolo della natura, vedevamo le cime dell’Appennino colorate di rosso e di arancio e le faggete, le ontanete, i fossi di sambuchi e i noccioli sotto di noi. In questo periodo le temperature si abbassano, il tempo è sereno. Le beccacce dal nord Europa si spingono verso il sud lasciando alle spalle le foreste scandinave. Questi uccelli fanno piccoli o grandi voli fino ad arrivare a coprire distanze enormi. Il vento di tramontana le trasporta sui nostri Appennini quando la stagione autunnale è già avanti… Dottore, lei va a caccia?»
«Non sono un cacciatore» risposi.
Luciano continuò a parlare come preso da una forte emozione: «Le beccacce sono uccelli migratori e dobbiamo aspettare il momento che arrivano da fuori. Questa è una caccia vera».
«Che significa una caccia vera?»
«Vuol dire che occorre amare la natura, il paesaggio e anche il cane, a qualsiasi razza appartenga, deve possedere delle qualità che si ritengono utili per stanare le beccacce: solidità nella ferma e in nessun caso forzare il selvatico al frullo. Il cane deve avere una passione spontanea per questo tipo di caccia, non so se mi capisce?»
«No» risposi «ma dalle sue parole intuisco che come il cacciatore anche il cane da beccaccia non si può improvvisare!»
«Esatto» mi disse Luciano.
Mentre parlavamo arrivarono le risposte degli esami strumentali: nessuna evidenza di fratture mentre la spalla era lussata anteriormente. Insieme all’ortopedico e ad altri infermieri riuscimmo a rimetterla a posto. Chiesi a Luciano di raccontarmi cosa era accaduto. Sembrava inizialmente un po’ imbarazzato poi cominciò a parlare e mi disse: «Stavamo camminando quando ho visto il mio cane in ferma con la zampa anteriore alzata. Ho capito che stava puntando l’animale. Ho sentito la stessa emozione di quando ero ragazzo, la stessa dei primi incontri con la Regina del bosco vestita di piume, con i colori dell’autunno dal rosso al bruno al marrone, che pareva nascere dalla terra, e poi ho pensato a tutte quelle beccacce a cui avevo rapito il volo. Questa mattina la beccaccia è frullata davanti a me. Ho sparato, ho visto delle piume sollevarsi nell’aria. La beccaccia è caduta a terra: l’avevo solo ferita, non uccisa. Quando il cane me l’ha riportata l’ho presa tra le mani, il suo cuore batteva ancora. La accarezzavo e lisciavo il suo lungo becco sperando di ridurre la sua sofferenza. Mi sono perso nel nero dei suoi occhi mentre stava morendo. Ho sentito il cuore in gola colpito da un tormento insolito nel vedere l’animale agonizzante e non ho avuto altro coraggio… penso di essere svenuto tenendola stretta a me mentre cadevo».
Gli dissi: «Che cosa strana, lei ama le beccacce e nello stesso tempo le aspetta per ucciderle. Amore e morte, come si può vivere una contraddizione così tremenda».
Luciano disse: «È normale che un cacciatore vada per uccidere un animale, ma ferirlo è una cosa inaccettabile, è una mancanza di rispetto. Quando ho preso tra le mani la beccaccia ho sentito come se una parte di me morisse con lei, come se anche io stessi morendo. La consapevolezza di vivere e poi di morire riempie di orrore l’esistenza. Come è possibile, dottore?».
Risposi: «Il dolore, la sofferenza può danneggiare il cuore, specie quello delle persone fragili oppure malate. Non sembra essere il suo caso. Amare significa trasferire la propria esistenza in un altro essere e la sofferenza per la Regina del bosco può averla coinvolta».
Luciano mi disse: «Sono stato operato di un tumore all’intestino pochi mesi fa. Ci vuole coraggio ad accettare queste cose».
Gli dissi: «Il tempo ci fa superare le sofferenze della vita, le malattie, le delusioni, gli insuccessi. Tutto è già stato previsto e non lo possiamo controllare. Siamo trasportati da un vento misterioso che ci fa volare e poi ci abbandona. Un po’ come accade alle povere beccacce».