Si erano incontrati in un giorno di pioggia. Aldo era bagnato con l’ombrello che non lo riparava completamente. Era tornato da poco da un viaggio di lavoro e sceso alla stazione di Firenze era andato verso la fermata della tranvia. Era stanco e affamato. La pioggia scendeva ancora a scrosci e batteva sopra la tettoia sotto la quale Aldo cercava di ripararsi. Ogni tanto alzava lo sguardo verso il cielo e calcolava l’intensità della pioggia attraverso il fascio di gocce illuminato dalla luce di un lampione. Sentì che qualcuno gli stava tirando il soprabito. Si girò di scatto. «È già passata?» chiese una ragazza piuttosto carina, anche lei tutta bagnata. Anche i suoi capelli erano bagnati sotto il cappello chiaro che le avvolgeva il viso. Abbracciava la borsetta per proteggerla e cercava un po’ di riparo. Aldo rispose: «Da poco, bisogna aspettare. Vado a bere qualcosa per scaldarmi». Lì vicino c’era un bar. Sentì il desiderio di un buon caffè caldo e fece per uscire da sotto la tettoia. Si fermò un attimo: «Vuole un caffè?». Lucia lo guardò senza rispondere. Attraversarono la strada sotto il diluvio evitando le auto e accelerando il passo. Lei camminava male per via delle sue scarpe coi tacchi molto alti e per paura di cadere si appoggiava al braccio di lui cercando di evitare le pozze d’acqua.
Iniziarono le confidenze e le risate, e non si accorsero che il tempo passava e anche la tranvia. «Non è che l’aspettano a casa?» disse Lucia. «Non credo, ho chiamato mia moglie dicendo che avrei fatto tardi e che non mi aspettasse per cena». Aldo guardava Lucia. Era magra e a lui le magre non piacevano, era bruna e a lui piacevano le bionde. Si guardarono con l’aria di chi aveva voglia di saperne di più dell’altro senza il coraggio di essere il primo a fare la mossa. «Sarebbe il caso di andare a cena, non crede?» disse Lucia. Aldo sorrise. Fermò un taxi, fu facile perché le strade erano deserte. Appena si trovò seduto accanto a lei provò una strana sensazione di libertà e di voglia di vivere. Scese con lo sguardo verso le sue gambe, erano lunghe e affusolate, coperte da calze di seta nera. Lei sapeva di essere molto carina e intuì il pensiero di lui: «Tutti gli uomini mi fanno la corte, non penso di essere bella ma forse piace il mio modo allegro di fare». Aldo fece finta di non aver sentito. Trovarono un tavolo nell’osteria vicino alla stazione ferroviaria e ordinarono carne alla brace e una bottiglia di un buon vino rosso che non bastò per finire la cena. Aldo, che non era abituato a bere, parlava senza sosta. Lei lo ascoltava e ogni tanto sorrideva e appoggiava la testa sulla sua spalla. Alla fine, servirono della grappa della casa. Quando uscirono pioveva ancora. Aldo la abbracciò e lei si strinse a lui, si baciarono appassionatamente. Fu un attimo che non si concluse nemmeno nella camera d’albergo dove andarono per sentirsi più vicini. All’una di notte facevano ancora l’amore. Era già molto tardi quando uscirono e non pioveva più.
«Prenderò un taxi – disse lui – se vuoi ti accompagno a casa.» In taxi rimasero in silenzio. Si scambiarono i numeri di telefono e si guardarono per l’ultima volta come se si conoscessero da sempre. Lucia scese dalla macchina. «Ti chiamo domani mattina o passo a trovarti per l’ora di pranzo», disse Aldo. Non sapeva come sarebbe andata a finire: sapeva soltanto che di lei non avrebbe più potuto fare a meno ed infatti appena Lucia non fu accanto a lui provò una forte mancanza, un senso di oppressione al petto che gli impediva di respirare. Considerava quell’incontro come una felicità piovuta dal cielo che non poteva lasciarsi sfuggire. Arrivò a casa che era molto tardi e sua moglie stava già dormendo. Quella notte Aldo dormì profondamente, si svegliò presto al mattino e uscì di corsa dopo colazione. Comprò il giornale e lesse il titolo dell’articolo in prima pagina: “Pandemia di coronavirus, milioni di persone affette, migliaia di morti”. Teneva aperto il giornale mentre si stava dirigendo verso l’ufficio a piedi. Nella via tutti i negozi erano chiusi e non c’era nessuno.
Il suo pensiero andò a Lucia e la chiamò con il cellulare. Era ancora in pigiama e non si sentiva bene. «Ho un po’ di febbre e anche la tosse, penso sia la pioggia di ieri sera». «Riguardati e non andare al lavoro». «Anche se volessi, mi hanno chiamato dall’ufficio, tutto chiuso per il coronavirus». Aldo non trovò nessuno per strada e arrivato al negozio di scarpe che lui dirigeva si accorse che all’interno non c’era nessuno e che l’ingresso era chiuso. “Potevano avvertirmi”, pensò. Chiamò di nuovo Lucia ma non rispose. Richiamò nuovamente, senza risultato. Non sapeva cosa fare. Sembrava impazzito. Chiuso in casa sentiva le ambulanze che passavano. Alla televisione i telegiornali davano notizie tremende sui contagi e sui morti. Aldo ebbe paura e pensò al peggio. Non poteva uscire, non poteva cercarla e pensava che sarebbe stato difficile avere sue notizie. E poi a chi poteva chiederle? Tutta la giornata lo accompagnò questa angoscia.
La notte sognò Lucia che gli tendeva la mano. Nonostante la febbre e la tosse che stava interessando anche lui, riuscì a stringergliela. Aveva la gola secca ma riuscì a pronunciare qualche parola. «Vorrei baciarti» disse sottovoce. «Anch’io» sospirò Lucia. «Ci vedremo domani» aggiunse. «Non so se ce la farò domani, non so se potrò». «Allora vediamoci subito, vieni da me». «Vorrei, ma non so nemmeno dove abiti». Restarono in silenzio, fantasticando sul loro piacere che aumentava indugiando. Il rumore della barella e dei sanitari, che entravano in camera da letto dove si trovava Aldo, interruppe il sogno. «Ciao Amore,» disse Lucia «vieni quando vuoi, ti aspetto, questa brutta storia finirà e tutto sarà bellissimo.» Aldo si lasciò andare, il volto girato sul guanciale, rimase immobile e il respiro si fece corto. Il desiderio di Lucia sfumava per lui nel dolore di quest’ultima scena. La sua anima prese a volare per raggiungerla.