Abbiamo intervistato la Prof.ssa Stefania De Pascale, docente di orticoltura e floricoltura, che non a caso possiamo definire “astro agronomo”, per le ricerche “spaziali” condotte insieme al gruppo del Dipartimento di Agraria dell’ Università Federico II di Napoli che coordina.
Le ricerche, sfociate in numerosi progetti, hanno permesso, e stanno continuando a farlo, lo studio di colture in grado di rendere più agevole la catena di approvvigionamento del cibo destinato agli equipaggi impegnati nelle missioni spaziali, oltre a valutare quelle che possano essere eventuali ricadute per la vita sulla terra, offrire un contributo alle future sfide dell’ agricoltura, che vanno dalla necessità di sfamare una popolazione mondiale in crescita, alla ricerca di nuove tecnologie, alla necessità di creare nuove superfici coltivabili e al minor consumo di risorse. Tutto questo è possibile grazie allo studio delle potenzialità dell’ adattamento di alcune colture, soprattutto orticole, all’ atmosfera spaziale, e al loro utilizzo nella dieta degli astronauti.
Oggi la Stazione Spaziale Internazionale (ISS), è un interessante laboratorio unico nel suo genere, in grado di studiare i processi biologici vegetali in assenza di gravità, in microgravità. Essa orbita a circa 400 km dalla superficie terrestre e il supporto vitale per l’equipaggio è garantito dalla Terra raggiungibile in meno di 4 ore. La ISS dovrebbe restare operativa fino al 2030 e le maggiori agenzie spaziali e i più grandi gruppi industriali nel mondo, si pongono come traguardo missioni con equipaggio su Marte passando per la presenza umana in orbita cislunare e la colonizzazione umana della stessa superficie lunare e di asteroidi. Una tipica missione su Marte durerebbe 500 giorni, 470 di viaggio più 30 giorni di permanenza sul pianeta in attesa del riallineamento più favorevole delle orbite. In funzione dei sistemi di rigenerazione utilizzati e della loro efficienza è stato stimato un fabbisogno giornaliero variabile tra 5 e 15 kg per persona all’ anno e quindi una missione su Marte richiederebbe il trasporto di una quantità di risorse comprese tra 2,5 e 7,5 tonnellate per ciascun membro dell’equipaggio. Situazione che, in base alle tecnologie di trasporto attuali, presenta problemi di natura tecnologica e di fattibilità economica. La possibilità di realizzare missioni spaziali umane di lungo periodo è perciò legata alla realizzazione di un ecosistema artificiale, un cosiddetto sistema biorigenerativo di supporto alla vita, BLSS, (acronimo di Bioregenerative Life Support System) in cui le piante svolgeranno ruoli fondamentali: rigenerare l’aria grazie alla fotosintesi, purificare l’acqua attraverso la traspirazione e produrre cibo, magari utilizzando di nuovo parzialmente gli scarti organici dell’ equipaggio.
Il mio gruppo di ricerca è coinvolto nel programma dell’ ESA “Micro-Ecological Life Support System Alternative” (MELiSSA) che ha l’obiettivo di realizzare un ecosistema artificiale basato su microrganismi, alghe e piante per la rigenerazione delle risorse in missioni spaziali a lungo termine con equipaggio.
Il mio gruppo collabora alle attività di ricerca sulle piante svolte nell’ impianto pilota del programma MELiSSA, il MELiSSA pilot plant, MPP, presso l’ Università Autonoma di Barcellona.
Dal 2019 sono anche responsabile del “Laboratory of Crop Research for Space” attivo presso il Dipartimento di Agraria e dedicato allo studio delle piante per i sistemi rigenerativi di supporto alla vita nello Spazio, nato dalla collaborazione con ESA Laboratorio che ospita una “Plant Characterization Unit” di cui si parla in un articolo pubblicato su Frontiers in Astronomy and Space Science, equipaggiata con sofisticati sistemi di coltivazione e di controllo ambientale e realizzata grazie al progetto di ricerca “Plant characterization unit for closed life support system – engineering, manufacturing and testing” (PacMan) finanziato dall’ESA nell’ambito proprio del programma MELiSSA.
La viene appunto utilizzata per la selezione e la caratterizzazione delle colture per la realizzazione di un BLSS.
Sulle basi planetarie o nelle future colonie spaziali, la presenza di gravità, anche se ridotta, consentirà l’ impiego di sistemi e tecnologie simili a quelli utilizzati in ambiente terrestre e la scelta delle specie dovrà considerare, non solo il valore nutrizionale dei prodotti vegetali (in termini di contenuto in carboidrati, proteine, ecc.) ma anche la capacità delle piante di rigenerare le risorse vitali (aria e acqua) all’interno di un BLSS. Per questo stiamo lavorando su colture come cereali, es. grano, leguminose, es. soia ma anche tuberi come la patata. Nelle missioni planetarie, inoltre, un interessante opportunità è quella di usare risorse disponibili in situ, come suoli lunari o marziani (le cosiddette regoliti) opportunamente ammendati con sostanza organica da riciclo, per creare substrati adatti alla crescita delle piante.
Nel progetto italiano “In-situ REsource Bio-Utilization for life Support system” (REBUS), finanziato dall’ASI (Agenzia Spaziale Italiana) che coordino, il mio gruppo studia proprio la possibilità di utilizzare regolite lunare o marziana per l’agricoltura spaziale. Nelle sperimentazioni a Terra, si usano simulanti di regolite prodotti in laboratorio sulla base delle reali caratteristiche dei suoli lunari o marziani. I suoli extraterrestri vengono migliorati con l’aggiunta di sostanza organica ottenuta dal trattamento dei residui di coltivazione e dei rifiuti di missione (es. scarti alimentari, feci, urina), di correttivi e di biostimolanti per consentire la crescita delle piante. Su avamposti lunari o planetari, un fattore spaziale critico sarà rappresentato dalle radiazioni ionizzanti, pertanto, ci interessiamo anche della tolleranza delle piante per garantire la loro sopravvivenza e l’efficienza come biorigeneratori.
GreenCube è un nano-satellite che misura solo 30x10x10 centimetri all’interno del quale in una camera di crescita pressurizzata è stato assemblato un micro-orto spaziale integrato di sensori hi-tech per il controllo dei parametri ambientali (illuminazione, temperatura e umidità) e per il monitoraggio della crescita e dello stato di salute delle piante.
Il progetto è frutto della collaborazione tra l’ASI e l’Università La Sapienza di Roma, con la partecipazione dell’ Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’ energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) e del mio gruppo.
Scopo del progetto è stato quello di realizzare e testare il primo sistema autonomo per la coltivazione di piante, in particolare micro-ortaggi di crescione (Lepidium sativum) oltre la bassa orbita terrestre in un ambiente caratterizzato da condizioni estreme quali elevate radiazioni ionizzanti, gravità alterata, sbalzi termici e instabilità. GreenCube è stato lanciato nello Spazio a 6.000 chilometri di distanza dalla Terra il 13 luglio scorso dalla base di Kourou, nella Guyana francese.
I micro ortaggi sono giovani e tenere piantine di colture orticole, erbacee, aromatiche, ecc, raccolte da una a tre settimane dalla semina, con i cotiledoni completamente espansi e la presenza della prima coppia di foglie vere che rispetto ai germinelli o agli ortaggi maturi della stessa specie, contengono quantità più elevate di fitonutrienti, es. acido ascorbico, β-carotene, α-tocoferolo e fillochinone, e minerali, tra i quali Ca, Mg, Fe, Mn, Zn, Se e Mo e un più basso contenuto in nitrati.
Come ripeto spesso, la ricerca su come coltivare le piante nello Spazio ci consentirà di guadagnare spazio per le piante sulla Terra, ovvero di coltivare di più e meglio, sviluppando conoscenze e tecnologie per coltivare piante in ambienti estremi come i deserti o i Poli, ma anche in ambienti non più adatti alle coltivazioni tradizionali perché contaminati o fortemente urbanizzati (si pensi alle grandi megalopoli).
Inoltre, le ricerche sull’agricoltura spaziale possono avere ricadute in tempi brevi sull’intero comparto agricolo nell’ottica del crescente interesse per l’Agricoltura 4.0 basata su tecnologie avanzate per una produzione più efficiente e sostenibile, per esempio riducendo i consumi idrici, consentendo il recupero di suoli degradati o garantendo il monitoraggio e il controllo da remoto del benessere delle colture.
Ulteriore progetto: Sistemi e tecnologie per la produzione di micro-ortaggi nello Spazio ‘Microgreens x Microgravity’ (MICROx2)